L'OLIVO PROTAGONISTA

Fin qui ho voluto sfiorare vari argomenti di natura storica, agronomica per cercare di far luce su una materia tanto discussa quanto inquinata da disinformazioni, e da approssimative interpretazioni sia delle leggende che dei fatti storici.

Leggo ad esempio, in un volumetto di circa cento pagine edito da una delle più accreditate case editrice del campo agricolo una serie di disinformazioni così plateali quanto contrastanti con altri elementi descritti nello stesso volume.

Si afferma ad esempio che "altre fonti farebbero risalire l'introduzione della pratica dell'olivo in Italia e per primo in Liguria, dai crociati che lo conobbero in Palestina".

Due situazioni in netto contrasto con la realtà storica e l'evidenza dei fatti acclarati.

Innanzitutto non fu certamente la Liguria la prima "patria" dell'olivo in Italia poiché essa era tagliata fuori, se non dai traffici marinari, certamente dall'interesse dei primi navigatori che portarono la coltura dell'olivo nella Penisola; poi i primi crociati furono di ritorno dalla Palestina certamente non prima dell'anno 1100 anche se dalla Liguria partirono e tornarono solo molto più tardi e non certamente nella Prima o Seconda Crociata.

Se accettiamo l'ipotesi (azzardata e falsa) che furono i Crociati, tornati a Genova o in Liguria a portare la coltura dell'olivo dovremmo azzerare almeno duemila anni di storia che vedono la famosa pianta già protagonista in alcune zone dell'Italia meridionale e centrale.

Che dire degli scritti di Virgilio, di Plinio, di Varrone e di Columella che indicano negli oliveti dei colli Sabini un esempio di coltivazione ideale che somiglia a quella della sua terra Betica?

Non si trattava di qualche raminga pianta di "olea" coltivata nei giardini delle ville patrizie per onorare gli dei, né di cespugliosi "oleaster" ma di una coltivazione organizzata e diffusa che faceva fronte alle necessità della popolazione romana o comunque assoggettata all'impero romano che usava incondizionatamente olio vegetale proveniente anche dall'olea europea.

Nel volumetto in questione si sostiene anche che non vi era una coltura intensiva mentre Plinio e Columella parlano specificatamente della coltura dell'olivo come attività predominante in alcune zone.

Non volendo continuare quella che mi sembra sterile polemica cerchiamo ora di affrontare tutti gli argomenti che riguardano il prodotto finale dell'olivicoltura che oltre ai frutti, consumati come tali, si identifica nell'olio per uso alimentare sia allo stato naturale (Olio di Oliva Vergine) che ottenuto dopo raffinazioni o rettifiche (Olio di oliva e di Sansa).

L'olio dunque è il protagonista assoluto e vincente di questa coltura specializzata diffusa specialmente nell'area mediterranea.

Cerchiamo di capirlo, al di là delle sue origini storiche, spesso contestate, al di là delle sue implicazioni di natura religiosa limitandoci a scoprirlo nella sua vera entità come alimento e come ingrendiente principe per migliaia di elaborazioni gastronomiche.


I vari tipi di olio d'oliva

Innanzitutto è bene chiarire che non tutti gli oli di oliva che si trovano in commercio sono identici anche dal punto di vista della denominazione di legge.

Non volendo ampliare il discorso limitiamoci per ora a considerare le due categorie di olio più facilmente reperibili sul mercato e più utilizzate: "l'olio di oliva extravergine" e "l'olio di oliva".

In seguito specificheremo meglio le varie tipologie come previsto dalla legislazione vigente.

Innanzitutto si sta cercando da più parti di ottenere il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata da parte del competente Ministero ma non sarà questa una garanzia ad alta affidabilità per quanto concerne la qualità dell'olio poiché ciò che conta è il pregio intrinseco di ogni olio che può essere tutelato solo da un organismo locale che controlli non solo la materia prima di base (le olive delle varie cultivar) ma anche gli altri parametri (terreno, giacitura, tipo di lavorazione e serietà delle stesse).

Non basta che un olio sia ottenuto da olive sane raccolte in un determinato terreno per essere definito di qualità pregiata, esso deve essere il frutto di più fattori convergenti che solo un disciplinare mirato e riferito ad una zona specifica e a metodi di raccolta e lavorazioni particolari, può garantire.

D'altronde ci spieghino perché alcuni grandi vini italiani del Piemonte e della Toscana non sono compresi nei disciplinari di legge sono considerati il non "plus ultra" della produzione pregiata vinicola italiana.

Purtroppo la legge come si sa tende a massificare la produzione anche se dobbiamo riconoscere che la Denominazione di Origine Controllata e magari Garantita, sarebbe già un distinguo per non permettere alle industrie che vanno per la maggiore di spacciare per "toscano" o "ligure", "umbro" o magari "sabino", un olio di provenienza straniera o di altre zone meno pregiate della nostra penisola.

Come esemplificazione vorrei ricordare che nel Collio (una delle terre vinicole più famose e pregiate) esiste una Denominazione di Origine Controllata che tutela la vasta arca del Collio ma solo le aziende che fanno parte del Consorzio di Tutela offrono il meglio della produzione perché devono sottostare ad una regolamentazione mirata e specifica la cui osservanza è garantita non dalla legge ma dagli stessi consorziati.

Diciamo subito che l'Olio Extravergine di Oliva della Sabina viene finalmente tutelato da un Comitato di Tutela e Controllo istituito dall'Assessorato all'Agricoltura della Provincia di Rieti che garantisce con appositi strumenti la provenienza, i tipi di cultivar utilizzate, il tipo di lavorazione e l'anno di produzione dell'olio le cui caratteristiche devono rientrare nei parametri previsti da un apposito Disciplinare.