ARTE
La Cattedrale dedicata a Santa Maria
Assunta
La Cattedrale viene ricordata per la prima volta
in un documento del 598: del primitivo sito resta traccia in alcuni
capitelli e frammenti cosmateschi conservati in parte presso il Museo
Civico, in parte presso l'antico palazzo Capelletti.
Agli inizi del XII secolo, il vescovo Benincasa promosse la costruzione
di una nuova basilica, sullo stesso sito della precedente, per accogliere
degnamente il popolo dei fedeli.
La prima pietra fu posta il 27 aprile 1109, come attesta un'epigrafe
murata nella loggia dell'Episcopio.
Il vescovo Dodone consacrò la cripta il 1 settembre 1157. Papa
Onorio III consacrò solennemente la chiesa superiore il 9 settembre
1225.
La mole austera della cattedrale, orientata longitudinalmente lungo
l'asse Est/Ovest, è preceduta dal campanile romanico, eretto
da maestranze lombarde agli inizi del XIII secolo.
Questo è raccordato alla cattedrale mediante un portico, fatto
costruire nel 1458 dal cardinale Angelo Capranica, vescovo di Rieti.
La facciata del duomo è sobria, arricchita dal raffinato fastigio
duecentesco del portale centrale.
L'interno è scandito da una serie di pilastri che dividono lo
spazio della vasta aula basilicale in tre navate.
Le due navate laterali, di minore ampiezza rispetto alla navata centrale,
si articolano in una serie di cappelle, artisticamente decorate a cura
delle Congregazioni religiose, delle Confraternite, del Capitolo della
Cattedrale, delle famiglie gentilizie che godevano del privilegio della
sepoltura in Duomo.
Scorrono, a destra, le cappelle dedicate a San Vincenzo Ferreri, a San
Rocco, a San Giuseppe, a San Carlo Borromeo.
All'innesto dei bracci della croce latina si aprono, a destra e sinistra,
le porte che attraverso due scalinate danno accesso alla cripta, articolata
in un'absiodiola ad emiciclo a cui si accede attraverso un ambulacro
suddiviso in nove navatelle da sedici colonne, provenienti da preesistenti
edifici. Una di queste è una antica colonna miliare.
Risalendo in superficie, la navata destra è chiusa dalla raffinata
cappella della Compagnia del SS.mo Sacramento, caratterizzata da brillanti
stucchi policromi.
Domina l'abside, decorata nel 1827-'28 dal pittore bellunese Pietro
Paoletti, l'imponente ciborio eretto all'inizio del XIX secolo.
Simmetrica rispetto alla cappella del SS.mo Sacramento è la cappella
dedicata alla Madonna del Popolo, a cui il popolo reatino manifestò
particolare devozione ad opera di un predicatore cappuccino, padre Gregorio
Sfondrati, che nel 1625 promosse la costituzione di una Congregazione
a Lei intitolata.
Il lato meridionale della basilica si articola nelle due belle Sagrestie,
dotate di pregevoli stigli in noce. La navata prosegue con la Cappella
dedicata a Santa Barbara, patrona della città, che è senza
dubbio la più ricca fra le cappelle del duomo.
Seguono poi la cappella gentilizia dei Vincenti Mareri, allestita su
progetto di Giuseppe Valadier nella prima metà del secolo scorso,
la cappella del Crocifisso, affrescata nel 1900 da Antonino Calcagnadoro,
la cappella di Sant'Ignazio, le cui pareti conservano, mutilo, un affresco
di Antoniazzo Romano.
La Cappella dedicata a Santa
Barbara nella Cattedrale di Rieti
La devozione verso Santa Barbara è diffusa
in territorio sabino fin dal III secolo, quando la tradizione attesta
la sua conversione ed il suo martirio.
Il testo altomedievale della passio descrive gli episodi salienti della
vita esemplare della nobile figlia di Dioscoro, fiduciario di corte
dell'imperatore Massimiano Erculeo, che rifiuta il culto degli dei pagani
e sfida l'autorità paterna subendo il processo e la condanna
a morte, eseguita dallo stesso genitore.
La vendetta divina fu però aperta ed inesorabile, incenerendo
con un fulmine il padre spietato della giovane martire.
Intorno alla metà del X secolo, quando il territorio sabino fu
devastato dalle invasioni saracene, le spoglie della martire cristiana
furono traslate a Rieti e da allora conservate ed onorate come reliquie
in Cattedrale.
Nel 1648 il canonico don Antonio Petrollini assegnò in testamento
i suoi beni al Comune affinché provvedesse ad edificare in Cattedrale
una cappella dedicata alla martire paleocristiana.
Il Comune dunque nominò deputati all'esecuzione del lascito Loreto
Mattei ed Angelo Alemanni. Costoro individuarono nell'antica cappella
della Concezione lo spazio più idoneo alla nuova realizzazione.
Furono incaricati della progettazione dapprima l'architetto Pietro Vanni
di Scandriglia, poi il romano Monaldi.
Infine fu Gian Lorenzo Bernini a compiere il bozzetto per la statua
che avrebbe dovuto essere collocata sull'altare ed il progetto complessivo
della cappella.
Il disegno del grande artista incontrò il favore dei deputati,
che ne affidarono la realizzazione a Giannantonio Mari.
Intanto fu affidato al cavalier Lorenzo Ottoni l'incarico di realizzare
quattro statue da collocare nei nicchioni aperti nei pilastri a sostegno
della cupola.
Lo scultore raffigurò dunque i santi che meglio simboleggiavano
la chiesa reatina, e cioè San Francesco, San Prosdocimo, San
Nicola da Bari e la beata Colomba, collocando poi in un ovale ad altorilievo
sull'altare l'immagine della Concezione, a ricordo dell'antica destinazione
della cappella.
Al pittori Giovanni Odazi ed Antonio Concioli venne rispettivamente
affidata la decorazione della cupola e l'esecuzione dei quadri laterali,
raffiguranti Il martirio e La morte di Santa Barbara (1775).
Più tardi, il Concioli dipinse nel pennacchi della volta le Quattro
virtù cardinali.
Le spese affrontate per la ristrutturazione della cappella furono ingenti
al punto che nel 1784 fu necessario rivolgere una supplica al Papa,
affinché concedesse alla Congregazione un sussidio speciale.
Era infatti particolarmente dispendioso l'acquisto dei marmi e dei metalli
pregiati, necessari alla pavimentazione, finemente decorata, ed alla
realizzazione dell'altare e della balaustra.
Solo all'inizio dell'Ottocento fu possibile aprire al culto la cappella,
che fu solennemente inaugurata con due Messe cantate in occasione della
festività della santa.
La consacrazione avvenne infine nel 1809.
Architettura religiosa ed architettura
civile
La città di Rieti, come frequentemente
è accaduto nei centri più antichi dell'Italia centrale,
è cresciuta per secoli su sé stessa prima di estendersi
a valle, edificando nuove aree: il centro storico è pertanto
caratterizzato dalla sedimentazione e dal riuso di strutture e materiali,
che si stratificano e si mescolano, senza però divenire illeggibili.
Diventa così significativa la lettura
e la decodificazione dei caratteri architettonici degli
edifici pubblici e privati, destinati a funzioni civili o religiose,
per comprenderne le tipologie.
Rieti vanta un cospicuo numero di chiese e di congregazioni religiose,
che hanno costellato il paesaggio il paesaggio urbano e ne hanno segnato
la toponomastica.
Dal punto di vista architettonico, risulta più marcata in città
la tipologia basilicale, ben rappresentata dalla Cattedrale e dalle
chiese conventuali degli Ordini Mendicanti, mentre il territorio della
Diocesi è caratterizzato da chiese paleocristiane e pievi rurali.
Meno diffusi, ma di singolare interesse, sono gli edifici sacri che
testimoniano il gusto dell'età barocca. Più frequentemente,
alla struttura tardo medievale che caratterizza le costruzioni all'esterno
corrispondono interni nel quali si sono succeduti radicali interventi
di ristrutturazione e di rifacimento, testimoniando così il mutamento
degli stili e dei gusti ed il cambiamento dell'assetto liturgico, manifestatosi
attraverso le forme dell'arte.
La presenza degli Ordini Mendicanti porta nel corso del XIII secolo
alla costruzione delle tre basiliche romanico-gotiche di Sant'Agostino,
San Francesco, San Domenico.
Nelle chiese parrocchiali, così come nelle chiese dei monasteri
e delle confraternite si rimarcano frequentemente gli interventi autorevoli
di architetti ed artisti di genio, dal Sangallo al Bernini, che lasciano
il loro segno anche nell'architettura civile.
Alle antiche strutture medievali, caratterizzate da vasti arconi funzionali
ai traffici ed ai commerci, che preferivano alla pietra ed al laterizio
materiali più facilmente deperibili come il legname, abitualmente
utilizzato per scale, logge e soppalchi, si vengono dunque a sostituire
o ad integrare costruzioni più solide, a volte imponenti, a testimoniare
la nobiltà ed il potere dei più antichi casati dell'aristocrazia
locale.
Alcuni palazzi costituiscono costruzioni ex novo, come il maestoso palazzo
Vecchiarelli, progettato da Carlo Maderno secondo lo stile armonioso
e magniloquente del tardo Cinquecento o il palazzo Vincentini, sede
della Prefettura, edificato sul finire del XVII secolo nell'antico sito
della casa Poiana, altri conservano tracce di un passato remoto, come
il palazzo di Tebaldo Saraceno in via San Ruffo o testimoniano dell'avvicendamento
delle funzioni a cui sono stati adibiti, come il Palazzo del Seminario,
il cui nucleo originario era l'antico Palazzo del Popolo.
Istituzioni pubbliche ed imprese private hanno intrapreso recentemente
un'attenta opera di recupero delle più significative testimonianze
dell'architettura civile reatina, dal Palazzo Potenziani che ospita
oggi il Centro Studi e Convegni della CaRiRi al Palazzo Sanizi, divenuto
prestigiosa sede di uffici e negozi, fino al duecentesco palazzo di
via del Porto recentemente restaurato dal Duchi Varano
La Quadreria Civica reatina (1865), il più antico museo pubblico
del Lazio
Nel 1865, fu inaugurata a Rieti presso l'aula
capitolare dell'antico convento degli Agostiniani la Quadreria civica,
nucleo iniziale del futuro Museo cittadino.
L'istituzione municipale recepisce le direttive del Regio Decreto del
21 Aprile 1862, che stabiliva l'assegnazione ai Comuni delle opere d'arte
e dei beni librari già appartenenti alle comunità religiose
soppresse; una prima nota dei dipinti da acquisire ed esporre viene
compilata da G.B. Cavalcaselle e dal Morelli e nel giugno 1864 viene
istituita una Commissione Artistica con l'incarico di inventariare le
opere individuate presso le varie congregazioni religiose che hanno
lasciato, per effetto delle leggi eversive, i loro conventi e le loro
chiese.
I Conservatori dei beni artistici del Comune di Rieti Giuseppe Carloni
e Domenico Bartolini suddividono le opere degne di essere conservate
secondo un criterio funzionale: si tratta dei dipinti che possono rimanere
là dove si trovano, dei dipinti che devono essere riuniti in
un locale adibito a funzioni espositive, degli affreschi che devono
essere conservati in sito.
Il documento dei Conservatori si conclude con un appello ancora attuale:
"I sottoscritti ( ... ) raccomandano alla vigilanza del Municipio
l'insieme di tutte queste produzioni artistiche, abbandonate fino ad
oggi ad una eventualità distruggitrice, poiché quasi tutte
hanno d'uopo di rivivere per mezzo di accurato pulimento e restauro.
Potranno quindi in parte rimanere ove ora convenientemente si trovano,
ed in parte ( ... )potrebbero trasportarsi in un locale destinato ad
uso di Galleria, avendo alcuni di questi dipinti di molto interesse
per l'epoca, e per lo stile".
Una sede consona ad ospitare tanto il museo, quanto la bíblioteca
comunale, viene indicata nel 1897 dal Regio Ispettore ai monumenti ed
agli scavi prof. Fabio Gori nella chiesa i Sant'Agostino: "L'unico
edifizio che a tale uso potrebbe convenirsi, sarebbe la Chiesa di S.
Agostino, anzi mentre la crociera di essa si adatta a conservare dentro
appositi scaffali i libri della Biblioteca Comunale, la Sagrestia si
presta a comoda sala di lettura ed il resto della Chiesa è ampio
e luminoso abbastanza per sistemarvi una Galleria di quadri".
Una soluzione al problema della sede museale viene offerta dopo i lavori
di consolidamento e ristrutturazione del Palazzo del Comune resi necessari
a causa del terremoto del 1898: nel 1909, Umberto Gnoli e Giuseppe Colarieti-Tosti
allestiscono infatti la Quadreria al secondo piano della sede comunale.
Il nucleo conservativo iniziale si accresce, negli anni, grazie a donazioni
ed acquisizioni: nel 1912, si dota infatti della collezione archeologica
raccolta da don Vincenzo Boschi, nel 1935 il pittore Antonino Calcagnadoro
morendo lascia al Museo Civico, sotto il vincolo di esposizione, un
fondo di un centinaio di opere, nel 1952 Francesco Palmegiani dona la
sua collezione dì monete, gemme e curiosità, nel 1958,
infine, Angelo Sacchetti Sassetti affida al Museo numerosi arredi e
dipinti.
Nel 1960, il Museo Civico viene allestito secondo organici criteri espositivi
a cura della Soprintendenza delle Gallerie del Lazio.
A tutt'oggi, però, il Museo Civico reatino - chiuso per lavori
di ristrutturazione dell'edificio comunale - vede irrisolti i problemi
di collocazione e di allestimento che ne hanno caratterizzato le origini.
Il Museo del tesoro del Duomo
Nel 1957, la Soprintendenza ai Beni Storici ed
Artistici del Lazio curò presso il salone dell'Episcopio una
"Mostra delle opere d'arte in Sabina" raccogliendo
oltre ottanta opere la cui ordinaria collocazione era inidonea alla
conservazione ed alla salvaguardia.
Al termine della mostra, si pose dunque il problema di poter contribuire
ad una custodia e ad una esposizione stabile coordinando gli interventi
della Soprintendenza e della Curia.
I vescovi reatini mons. Raffaele Baratta e mons. Dino Trabalzini, s'impegnarono
ad individuare una sede consona e ad assicurare la manutenzione del
futuro museo, il cui allestimento impegnò a lungo la dott. Luisa
Mortari: nel 1970, finalmente, il Museo del Tesoro del Duomo poté
essere inaugurato e da allora costituisce un sicuro punto di riferimento
per la conservazione delle opere d'arte sacra della Diocesi reatina.
Fu prescelta come sede del piccolo Museo l'aula dell'antico battistero
di San Giovanni in fonte, prospiciente alla Cattedrale, già ricca
di manufatti artistici di gran pregio, quali le due nicchie affrescate
(sec.XV) ed il fonte battesimale commissionato dal vescovo reatino,
Card. Angelo Capranica, intorno alla metà del Quattrocento.
Le opere esposte provengono dalle chiese della Diocesi, in specie da
quelle antiche parrocchiali che lo spopolamento dei centri montani ha
condannato all'abbandono; solo a volte la preziosità delle opere
e l'impossibilità di proteggerle adeguatamente in sito hanno
indotto i parroci ed i fedeli ad affidarle al Museo.
Gli oggetti d'arte sacra qui conservati rappresentano un patrimonio
di alto valore culturale: si possono suddividere in pitture (affreschi,
tavole, tele), sculture (in legno ed in marmo), oreficerie (croci, calici,
ostensori, reliquiari) e parati (tessuti e ricami).
Il Museo del Tesoro del Duomo custodisce la testimonianza dei rapporti
e degli scambi culturali che s'infittiscono nel territorio della Diocesi
reatina, al confine fra il Patrimonio di San Pietro ed il Regno di Napoli,
mettendo a contatto le correnti artistiche del Lazio, dell'Umbria e
dell'Abruzzo ed unificandole in un comune linguaggio formale, sostenuto
dall'univocità della committenza ecclesiastica e dalla condivisione
della fede cristiana.
Tra le opere d'arte più significative conservate presso il Museo
segnaliamo la tavola duecentesca raffigurante la Madonna col Bambino
proveniente dalla chiesa parrocchiale di Cossito, la Madonna lignea
di Santa Maria di sambuco, la Madonna eburnea proveniente dalla chiesa
parrocchiale di Cerchiara, l'avorio miniato del Pastorale del XIV secolo
e, più in generale, le preziose opere di oreficeria che, insieme
con la serie di croci astili raccolte dal vescovo reatino mons. Bonaventura
Quintarelli ed esposte presso il Museo Civico, costituiscono un patrimonio
di notevole interesse per la conoscenza delle arti minori.
Accanto al Museo del Tesoro del Duomo, assolve una valida funzione espositiva
il Salone dell'Episcopio, dove sono conservati i pregevoli affreschi
staccati dalla chiesa di San Francesco insieme con numerose tele provenienti
da varie chiese della Diocesi.
Il Giudizio Universale di Bartolomeo
e Lorenzo Torresani
L'antico convento dell'Ordine dei Predicatori
ospitò, fino al 1576, la Confraternita dei mercanti, intitolata
a San Pietro martire.
Fra il 1326 ed il 1432, i confratelli ottennero il privilegio di erigere
tre cappelle presso la chiesa di San Domenico e di edificare nelle adiacenze
del convento un Oratorio che, fra il 1552 ed il 1554, fu mirabilmente
affrescato dai pittori veronesi Bartolomeo e Lorenzo Torresani, attivi
a Rieti ed in Sabina intorno alla metà del XVI secolo.
Il primo incarico fu conferito ai due pittori da Bernardino di Lone
che nel 1552, forse per adempiere ad un voto, si fece ritrarre inginocchiato,
in veste di penitente, ai piedi dell'effigie di San Pietro martire.
L'affresco piacque ai confratelli, che decisero di commissionare ai
Torresani un'opera più impegnativa e complessa.
Il tema prescelto fu Il Giudizio Universale.
Il vasto affresco si snoda lungo tre pareti dell'Oratorio, sviluppandosi
fin sulla volta a crociera, dove è raffigurato il Cristo giudice,
con gli strumenti della Passione. La parete di fondo è occupata
dalla scena centrale del Giudizio: al centro, gli angeli separano al
suono delle trombe le schiere dei dannati dal cori degli eletti.
Mentre i reprobi, rappresentati nella parete di sinistra, sono destinati
alle pene del fuoco eterno, vigilati da immondi demoni e da arcangeli
in armi, i beati godono la gloria eterna del Paradiso, raffigurato nella
parete di destra.
Bartolomeo e Lorenzo Torresani dimostrano di conoscere ed imitare i
grandi modelli del Beato Angelico, del Signorelli e di Michelangelo,
riproponendo alcuni elementi che costituiscono autentiche citazioni
dalla Cappella di San Brizio del Duomo di Orvieto e dalla Cappella Sistina
di Roma.
Dimostrano invece grande originalità e competenza dottrinale
rappresentando i santi più cari alla devozione locale mentre,
al di sopra di una compatta cortina di nubi, s'impegnano a salvare le
anime dei fedeli che si affidano alla loro protezione.
E' particolarmente significativa la corrispondenza cronologica fra l'esecuzione
dell'affresco (1554) ed il dibattito sulla salvezza delle anime, intrapreso
al Concilio di Trento (1545-1563) per controbattere le tesi luterane
che negavano il concetto di santità e la funzione di intercessione
che i santi continuano ad avere nel Cattolicesimo.
Nel 1574, le pitture realizzate venti anni prima dai fratelli Torresani
rischiarono di essere distrutte, poiché il Visitatore Apostolico
monsignor Pietro da Camaiano giudicò negativamente i nudi, che
nell'interpretazione artistica rappresentavano lo stato delle anime.
Ritenendo che queste immagini potessero turbare soprattutto i laici,
non in grado di comprenderne il senso allegorico, i Padri Domenicani
proposero allora alla Confraternita di San Pietro Martire di trasferirsi
presso la vicina chiesa di San Matteo all'Yscla, che da allora in poi
assunse il nuovo titolo mantenuto a tutt'oggi, ed utilizzarono l'antico
oratorio come aula di studio.